Bene comune: credito cooperativo protagonista

Le Bcc sono più di una banca: sono realtà che contribuiscono concretamente alla crescita produttiva e morale del territorio. Intervista al professor Luigino Bruni

Luigino Bruni Bcc Abruzzi E Molise
10 aprile 2016
La Mia Banca | 

Una banca di credito cooperativo è di più di un pur complesso servizio bancario: è protagonista nello sviluppo economico e sociale di un territorio. Se importanti aree come, ad esempio, la Val di Sangro sono oggi incomparabilmente più floride di un tempo, lo si deve anche al ruolo di un istituto di credito che ha saputo accompagnare generazioni di imprenditori, artigiani, professionisti e lavoratori verso una condizione nettamente migliore. Non è un caso, allora, se l'articolo 2 dello statuto della Bcc, che stiamo sviscerando grazie ad illustri economisti - nei numeri precedenti hanno dato il loro contributo Leonardo Becchetti e Stefano Zamagni - tira in ballo il bene comune, insieme al miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche delle comunità dove operano questi istituti. Sull'incisività concreta del credito cooperativo abbiamo interpellato il professor Luigino Bruni, che da tempo approfondisce i nessi tra economia, comunità e persona.

 

Professor Bruni, cosa si intende per "bene comune"?

Il bene comune riguarda al tempo stesso tutti e ciascuno. Ma oggi è un concetto più complicato da afferrare che in passato, perché se è vero che in certi casi è un bene tangibile, come quando ad esempio parliamo di ambiente, in altri è più sfumato da identificare, visto che ci troviamo in una società con esigenze, desideri e diritti più articolati di quella di un tempo. Nel Medioevo la società era intesa come un vero e proprio organismo, e il bene del mignolo era anche quello della testa. Una coscienza entrata in crisi con il pensiero moderno, che ha teorizzato il venir meno di questa unitarietà e che, dunque, ha reso possibile che scelte politiche potessero avvantaggiare o danneggiare parti del corpo sociale. L'esperienza, invece, ci dice che è urgente ripensare la nostra società in una direzione più organica e meno frastagliata di quella attuale: se non si recupera una visione del genere, sarà più difficile parlare e fare esperienza di bene comune.

 

Il credito cooperativo contribuisce a questo bene comune?

Sicuramente contribuisce perché è il frutto maturo della teoria di bene comune così come citata prima, che lo intende come l'altra faccia della medaglia della virtù. Siccome è palese che il credito cooperativo ha sempre inteso virtuosamente la sua missione, mettendo al centro la persona e riducendo gli impatti estremi della finanziarizzazione dell'economia, è altrettanto evidente che ha inciso e ancora oggi incide sul bene di tutti nelle comunità laddove è presente.

 

Perché il credito cooperativo contribuisce al miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche?

Le condizioni morali dipendono da quelle economiche, e viceversa, visto che l'uso che si fa del denaro incide sui comportamenti delle persone e delle comunità. Nella misura in cui dunque una banca contribuisce a sostenere imprese, famiglie e giovani sta già dando la sua impronta morale. Ma c'è dell'altro. Il credito cooperativo ha sempre avuto un ruolo anche "educativo": con il suo modo di intendere i soldi ha fatto crescere una coscienza diversa dell'economia e dei soldi. E dunque anche della morale. Oggi dovrebbe continuare a puntare su questo fattore rilanciando e sostenendo le scuole di formazione popolare su finanza ed economia, perché la cultura economico-finanziaria degli italiani è insufficiente. Il bene comune si costruisce anche in questo modo: combattendo contro l'ignoranza.

 

L'articolo 2 parla anche di coesione sociale: concretamente, che cos'è? E come la si raggiunge? Quale ruolo ha il credito cooperativo?

Al riguardo, ritengo che servirebbe un grande progetto europeo per poter tornare veramente a parlare di comunità, in un continente sempre più individualizzato. Le Bcc la loro parte l'hanno sempre fatta, sia perché nascono dalle comunità sia perché hanno creato coesione sociale tenendo insieme villaggi, famiglie, imprenditori, produttori, consumatori. Ed anche generazioni: non dimentichiamo che spesso il libretto del nonno è diventato quello del nipote. Ecco perché il mondo della cooperazione ha oggi davanti a sé una sfida grande: rifare comunità in un mondo non comunitario. Rimanendo fedele al suo dna, il credito cooperativo si differenzierà sempre più dalle altre banche, e perderà concorrenza sul mercato. Del resto, le Bcc hanno sempre fatto economia mettendo a reddito la comunità, mentre le banche capitalistiche vivono di persone sole: individui separati e soli. Se le banche di territorio sapranno interpretare questo cambiamento pianteranno i soli alberi da frutto capaci di resistere ad un domani incerto.

 

Le banche del territorio sono spesso accusate di essere inefficienti e troppo piccole: è così? Quale vantaggio trae un territorio da banche come quelle di credito cooperativo?

Ci sono senz'altro state banche territoriali che, per rendite passate, hanno puntato tutto sull'efficientismo, perdendo il contatto con la realtà. Ma questi istituti non sono la maggioranza. Il problema è piuttosto gli occhiali con i quali si vuole guardare il credito cooperativo: se le Bcc sono viste con quelli delle banche capitalistiche si fa un errore di fondo, perché significherebbe applicare anche alle banche del territorio l'idea che passare del tempo a parlare con la gente equivale a perdere tempo. Dunque, bisogna intendersi sull'efficienza: spendere del tempo con clienti e soci che vengono in filiale è un investimento relazionale che nel tempo diviene coesione sociale. Se il credito cooperativo perdesse questa dinamica, perderebbe il proprio dna. In definitiva: ci sono sicuramente inefficienze e pigrizie da superare, ma anche false inefficienze chiamate così da una teoria economica che vuole vedere solo un determinati aspetti della vita economica e sociale di un territorio.

 

A proposito di riforma del credito cooperativo, qual è la sua opinione in merito?

Una riforma era necessaria. In merito alla cosiddetta "way out" (la possibile uscita di alcune Bcc dal circuito ndr), ritengo che le banche che vogliono uscire in fondo sono quelle che attingono poco dalla tradizione cooperativa: direi che sono i fratelli più poveri e invidiosi delle grandi banche. Poiché, allora, c'è una parte di istituti che ha una diversità reale, la riforma può essere utile per ripulire il sistema e distinguere chi vuole oggi continuare a credere sul territorio e sul valore sociale, da chi intende fare altro per via di una evoluzione avvenuta nel tempo. Bisogna chiamare cose diverse con nome diverso: ci sono banche che soffrono perché hanno fatto il loro mestiere, condividendo le crisi delle imprese e non chiudendo i rubinetti del credito, e ci sono banche che soffrono solo perché hanno fatto stimolazione finanziaria. La crisi e la riforma, allora, diventi opportunità: permetterà alle vere Bcc di essere e sentirsi tali, fino in fondo. Con grande vantaggio per tutto il sistema bancario ed economico italiano.

 

Bcc Sangro Teatina investe il 95 per cento della raccolta sul territorio ed ha un indice di patrimonializzazione ben più alto di grandi gruppi bancari: può essere un esempio di banca che ha interpretato al meglio gli ideali del credito cooperativo? Cosa augura a questa banca e alle comunità dove opera?

Mi sembra un segnale molto importante e in linea con la tradizione delle banche cooperative. Auguro a Bcc Sangro Teatina di crescere senza mai perdere questa vocazione territoriale perché è sempre la “terra” il luogo dell’innovazione. Non dimentichiamo che “innovazione” è una parola della botanica che si usa quando un ramo emette un nuovo germoglio, innova. Per innovare occorrono terra buona e la sua linfa vitale.

 

 

Luigino Bruni

Luigino Bruni, nato ad Ascoli Piceno nel 1966, è professore ordinario in Economia politica al Dipartimento di Scienze economiche, politiche e delle lingue moderne dell’Università Lumsa di Roma ed all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI). Dopo la laurea in Economia ad Ancona nel 1989, ha conseguito un dottorato nel 1998 in Storia del Pensiero economico presso l’Università di Firenze, ed un secondo PhD nel 2004 in Economics presso l’Università di East Anglia (UK).

È coordinatore del progetto Economia di Comunione, direttore scientifico di SEC Scuola di Economia Civile e editorialista di Avvenire. Co-editor delle riviste internazionali IREC, Membro dell’editorial board delle riviste: Review of Social Economy e Journal of Happiness & Development. Direttore del dottorato in Scienze dell’Economia civile alla Lumsa di Roma.