Cooperazione e mutualità: il dna delle Bcc

Il professor Stefano Zamagni analizza i due concetti chiave, insieme alla democrazia economica, alla base del credito cooperativo: "Oggi c'è bisogno di tornare all'economia civile"  

Stefano Zamagni Bcc Abruzzi E Molise
10 dicembre 2015
La Mia Banca | 

Se la democrazia economica è la forma di partecipazione promossa dal credito cooperativo, come ci ha spiegato nello scorso numero de La Mia Banca il professor Leonardo Becchetti, la cooperazione e la mutualità rappresentano il senso ultimo dell'azione delle banche di credito cooperativo. A condurci nella scoperta di questi due concetti, il professor Stefano Zamagni, economista e professore all'Università di Bologna, tra i massimi esperti a livello internazionale di economia sociale, non profit, cooperazione, terzo settore. Con lui continua il nostro viaggio per approfondire i pilastri alla base dell'articolo 2 dello statuto di Bcc Sangro Teatina, che riassume l'identità del nostro istituto di credito.

 

Professor Zamagni, cooperazione e mutualità sono la stessa cosa?

Assieme alla democrazia economica, sono al cuore della ragion d'essere di un'impresa cooperativa in generale, e delle Bcc in particolare. Normalmente, si tende ad allineare la cooperazione alla collaborazione, che significa "lavorare assieme", ma è una cosa diversa perché cooperare è "operare assieme". Nella prima si lavora assieme ma ognuno persegue un proprio legittimo tornaconto. Nella seconda, invece, si lavora per un fine comune. Se i lavoratori e gli azionisti di un'azienda possono avere fini diversi, nella cooperazione tutti devono condividere questo fine comune, che comprende al suo interno la mutualità.

 

Che cos'è la mutualità?

Si tratta di una forma particolare di reciprocità, di mutuo aiuto. È un'idea che viene enunciata per la prima volta nel 1753 da Antonio Genovesi, insigne economista dell'Università Federico II di Napoli, che diceva: "Il mercato ha un senso se chi vi partecipa vi realizza il mutuo vantaggio". Per Genovesi il mercato veniva concepito come una grande cooperativa, perché rimandava a questa esperienza del mutuo aiuto. L'impresa cooperativa applica questo stesso principio con riferimento però al territorio. In definitiva, l'idea della mutualità non è nata con il movimento cooperativo che ha dato vita alle casse rurali, ma con l'economia civile a metà Settecento. Per questo, le imprese cooperative sono una conseguenza di questa idea di mercato come mutuo aiuto, che va sotto il nome di economia civile.

 

C'è ancora spazio ai giorni nostri per questa idea di economia?

È evidente che è sotto attacco da parte del liberismo sfrenato, ma il modo più intelligente per difenderla è proprio ritornare al paradigma dell'economia civile, scalzato dall'Ottocento dall'economia politica di impostazione anglosassone. Oggi siamo nelle condizioni storiche per tornare a quell'economia: le imprese ne trarranno grande giovamento. Non c'è consapevolezza di questa opportunità perché non si studia, ma la cooperazione deve necessariamente riscoprire le proprie origini, altrimenti rischia l'estinzione. Ora più che mai è il momento di tenere gli occhi aperti, studiare, vigilare.

 

Parlava di condizioni storiche favorevoli. Quali sono?

In primo luogo, quelli che gli inglesi chiamano "commons", i beni comuni come l'ambiente, la conoscenza, le risorse e via dicendo. Si tratta di beni che non sono né privati né pubblici: la gestione di questi beni oggi più che mai non può essere né privatistica né pubblicistica ma di tipo cooperativo. Ebbene: siccome sono destinati ad aumentare di importanza nei nostri sistemi socioeconomici, una loro gestione cooperativa è oggi più che mai auspicabile.

 

La seconda condizione?

La lotta alle diseguaglianze. Tutti oggi ci lamentiamo che queste sono in aumento, ma non si riesce a far capire alla gente che una lotta efficace non può essere condotta con successo solamente rimanendo all'interno della redistribuzione di tipo fiscale. L'unico modo per attaccare frontalmente il problema è attuare al momento della produzione della ricchezza delle regole di equità. L'impresa cooperativa in questo senso non genera diseguaglianze alla fonte. Aumentare il tasso di presenza delle cooperative, quindi, è oggi più che mai possibile, per non dire necessario.

 

La terza condizione, infine.

La democrazia. Vede, oggi questa forma di potere corre seri pericoli perché la gente non partecipa, si disinteressa. Stiamo imboccando inesorabilmente una via demofobica. Questo modello non può andare avanti perché prepara oligarchie e dittature. Abbiamo bisogno di cooperative, dunque, perché chi ci lavora impara a capire il principio democratico, e il suo grande valore. In tal senso, le cooperative sono baluardo e difesa della democrazia per una loro funzione educativa.

 

Il governo ha smosso le acque del sistema bancario italiano, invitando il mondo delle Bcc ad autoriformarsi: perché secondo lei?

Il governo non considera a sufficienza l'importanza strategica del mondo della cooperazione e delle Bcc, perché ha un concetto di democrazia diverso da quello della nostra carta costituzionale. Inutile dire che il modello originario è stato disegnato da padri con una statura ben più alta dei politici attuali, mentre per il governo attuale la democrazia è quella cosiddetta maggioritaria: chi vince decide. Punto. Il nostro principio democratico non è questo: basti pensare che De Gasperi avrebbe potuto fare tutto da solo, aveva i numeri, ma ha sempre fatto il governo di coalizione perché diceva: "Noi non dobbiamo spadroneggiare, dobbiamo prendere in considerazione il punto di vista delle altre componenti". Ecco, io mi riconosco in quel modello.

 

C'è bisogno ancora delle Bcc nel sistema bancario italiano?

È chiaro, perché le Bcc sono importanti non solo per le tre ragioni di prima, ma anche e soprattutto per la loro attenzione ai territori. L'Italia si differenzia dagli altri Paesi perché la stragrande maggioranza della popolazione non vive nelle città. La domanda è: chi presidia da un punto di vista bancario e finanziario il territorio? La banca locale, non certamente quella grande, che non ha preoccupazioni legate ai piccoli numeri e alle piccole imprese locali. Tutto questo va salvaguardato, se non altro perché è diventato un modello studiato a livello mondiale: vengono a studiare questa "biodiversità" da tutto il mondo, dalla Corea al Canada.

 

Cosa suggerisce al mondo delle Bcc impegnate nell'autoriforma?

Tre cose. In primo luogo che autonomia non vuol dire indipendenza. Molte Bcc intendono proprio così questo principio, ma oggi non è più possibile continuare a concepirsi come un tempo. In secondo luogo, le Bcc devono badare di più alla governance interna: ne conosco troppe che hanno strutture ossificate, con personaggi per troppo tempo impegnate a ricoprire le stesse posizioni verticistiche. Anche il Papa ha detto che le cariche devono essere a tempo: e se lo dice un uomo di Chiesa che parla a vescovi e cardinali... Questo secondo punto è importante anche perché invita a favorire i giovani. E qui tocchiamo il terzo suggerimento: è necessaria una solidarietà intergenerazionale. Alcune Bcc danno troppa importanza all'efficienza, altre l'opposto. I due valori, efficienza e solidarietà tra generazioni, devono procedere di pari passo. Anche per questo dico che guidare una Bcc è più difficile che guidare una qualsiasi altra impresa.

 

 

Stefano Zamagni

Nato nel 1943, si è laureato nel 1966 in Economia e Commercio presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si è specializzato nel 1973 presso il Linacre College dell'Università di Oxford. Tornato in Italia, iniziò ad insegnare presso l'Università di Parma, ottenendo poi nel 1979 l'ordinariato di economia politica all'Università di Bologna. Due anni prima aveva iniziato ad insegnare "International Trade Theory", "Microeconomics", "Quantitative Methods for Economics" e "Public Sector Economics" alla John Hopkins University, Bologna Center, dove a tutt'oggi è Adjunct Professor of International Political Economy, e di cui è vice-direttore. Dal 1985 al 2007 ha insegnato Storia dell'analisi economica alla Bocconi di Milano, mentre negli anni ha lavorato anche per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, sede di Bologna. Per l'Università di Bologna ha ricoperto numerosi ruoli, tra cui la presidenza della Facoltà di Economia, impegnandosi negli anni soprattutto negli studi sul mondo del No profit, arrivanto all'attivazione di uno specifico corso di Laurea ("Economia delle Imprese Cooperative e delle Organizzazioni Non Profit"). E' tra gli ideatori delle Giornate di Bertinoro per l'Economia Civile. E' stato presidente dell'Agenzia per il Terzo settore. In quanto consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, fra il 2007 ed il 2009 è stato tra principali collaboratori di Papa Benedetto XVI per la stesura del testo dell'Enciclica Caritas in veritate.