Corpi intermedi, cooperazione, persona: in una parola, responsabilità
Il professor Mauro Magatti, docente di Sociologia alla Cattolica di Milano: “Senza il sano protagonismo della persona ogni modello degenera. Da qui dobbiamo ripartire”
Responsabilità. Da qui si riparte. Da questa parola può riprendere il volo davvero tutto: il nostro Paese, l’economia, le persone. Tutto. Dunque, anche la cooperazione, che dell’Italia rappresenta un pezzo importante, esprimendo appieno quella capacità di “fare con” che in qualche modo ci distingue dal resto del mondo. Il professor Mauro Magatti, ordinario di Sociologia all’Università Cattolica di Milano ma anche editorialista del Corriere della Sera e di Avvenire, la ripete al termine di ogni suo ragionamento: senza responsabilità, nessun modello funziona davvero ma, anzi, degenera nell’opposto di ciò che si prefiggeva.
Professor Magatti, in una società sempre più individualista come la nostra ha ancora un senso “co-operare”? Oltre che possibile, è anche necessario?
Sono recentemente intervenuto proprio su questo argomento nella mia introduzione al volume “Co-Economy. Un’analisi delle forme socio-economiche emergenti”, a cura di Davide Lampugnani. In sostanza, ritengo che contrariamente alla teoria contemporanea prevalente, di fatto ancora oggi le forme economiche sono tutte all’insegna del “co”: concorrenza, competizione, cooperazione, condivisione. In questo momento storico, continua ad esserci ancora spazio per questo modo di intendere gli scambi e il ruolo delle persone. La cooperazione, in particolare, si caratterizza per la grande capacità di tenere insieme mezzi e fini, ma anche di legarsi alla comunità.
L’Italia può vantare agli occhi del mondo un vero e proprio modello fatto di corpi sociali intermedi alternativi allo Stato e al mercato: è un modello ancora valido o si sta deteriorando? In questo secondo caso, perché sta accadendo? Penso in particolare al rischio di “disintemediazione” paventato da molti.
In una tradizione a forte retaggio cattolico come la nostra, l’individuo è sempre stato meno forte rispetto ai corpi intermedi. E questo in fondo è sempre stato la “croce e delizia” della nostra cultura. Croce perché ha purtroppo favorito una certa deresponsabilizzazione delle persone, e delizia perché ne sono nate comunque esperienze di bene comune di grandissimo valore. Dunque, il modello è valido a condizione che si riscopra la responsabilità della persona, la capacità cioè di non lasciarsi assorbire dal proprio interesse particolare e, al tempo stesso, di non delegare sempre alla sovrastruttura ogni decisione. In merito alla paventata “disintermediazione”, facciamo attenzione: quella che noi chiamiamo “rete”, di fatto è una mediazione essa stessa, cui però ci si affida come fosse un corpo intermedio. La grande sfida dei giorni nostri, allora, è se la rete intesa come mera tecnologia può essere un’opportunità per riscoprire la responsabilità di ognuno e contribuire al cambiamento dei corpi intermedi.
Questo modello, oltre ad essere importante da un punto di vista economico e sociale, ha anche una valenza culturale? Se sì, a suo avviso viene sufficientemente messo al centro dei processi educativi del nostro paese? Che ruolo ha nel dibattito pubblico dei nostri giorni questo modello?
Mi spiace constatare che purtroppo questo modello tipicamente italiano non è capito dagli italiani stessi, in quanto non è sufficientemente culturalizzato ma idealizzato oltre ogni evidenza. Questo è un grandissimo limite da superare, riscoprendo i punti di forza e debolezza.
Se cooperare significa riconoscere il valore dell’altro e della relazione, che ruolo ricopre in tale contesto la responsabilità personale? Quanto conta, nell’Italia di oggi, questo aspetto a suo avviso? Rispetto al passato, conta di più o di meno?
La mancanza di responsabilità, come accennato, rappresenta la parte patologica del modello generale. Ai miei studenti faccio sempre questo esempio per differenziare il modello cattolico italiano da quello anglosassone. In Inghilterra, tutti fanno la fila ordinata per salire sul bus e in maniera automatica, quasi robotizzata, eseguono la regola. In Italia invece si sale sull’autobus tutti insieme, accalcandosi alle entrate. La responsabilità sta proprio nel mezzo, ed è il comportamento di chi si mette in gioco in prima persona e né si mette in fila e né assale l’autobus ma si guarda intorno e fa salire per prima i disabili, gli anziani e chi è in difficoltà. La cooperazione non è un mondo a sé e proprio come tutta la nostra società e fatta di eccellenti esempi così come di realtà che speculano su questo modello.
Credito e cooperazione: si può fare un uso “sociale” dei soldi? Quali i vantaggi e quali i limiti di questa concezione del fare banca? Cosa può dare ancora oggi al sistema economico nazionale la cooperazione di credito?
Sicuramente esiste uso sociale dei soldi: si chiama economia civile. Che poi questo uso avvenga nella realtà, è tutto da dimostrare. Sicuramente viene praticato, come dimostra l’esperienza di tante banche di credito cooperativo, e vanno incentivate tutte quelle forme che vanno in questa direzione. Ma anche in questo campo non è possibile generalizzare, perché la responsabilità ha a che fare con la libertà umana, poco assimilabile a modelli compiuti.
Lei è il fondatore del Festival della Generatività: cos’è questa esperienza?
È un nuovo modo di pensare e di agire personale e collettivo che racconta la possibilità di un tipo di azione socialmente orientata, creativa, connettiva, produttiva e responsabile, capace di impattare positivamente sulle forme del produrre, dell’innovare, dell’abitare, del prendersi cura, dell’organizzare, dell’investire, immettendovi nuova vita. È un dinamismo che vivifica e continuamente rinnova le forme sociali evitandone la stagnazione. Essere generativi significa “mettere al mondo” e “prendersi cura” di quanto generato così che questo possa crescere e fiorire. A quel punto è necessario “lasciarlo andare”, ovvero capacitarlo, autorizzarlo, renderlo libero. Tale dinamica, se letta in chiave sociale, può riguardare la nascita o la rinascita di un prodotto o di un servizio, un’impresa, una relazione, una nuova forma sociale, un progetto.
Mauro Magatti
Sociologo ed economista, laureato in Discipline Economiche Sociali alla Bocconi nel 1984, ha conseguito il dottorato in Social Sciences a Canterbury. Attualmente è professore ordinario di Sociologia alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di MIlano. Dal 2006 al 2012 nello stesso ateneo è stato preside della Facoltà di Sociologia, dove insegna Sociologia (Corso Avanzato) e Analisi e istituzioni del capitalismo contemporaneo. È stato membro della Global Studies Associaton e del Comitato Italiano delle Scienze Sociali. È membro del consiglio di amministrazione dell'Istituto L. Sturzo di Roma, dal 2008 è direttore del Centre for the Anthropology of Religion and Cultural Change (ARC) presso la Cattolica di Milano. Ha pubblicato numerose monografie e saggi su riviste italiane e straniere, partecipando a network universitari internazionali e dirigendo progetti per varie agenzie Dal 2016 è segretario delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. Fa parte del Comitato Scientifico del Cortile dei Gentili. E' fondatore dell'Archivio della Generativia sociale. È editorialista de Il Corriere della Sera e di Avvenire